Vengono qui riportati, insieme ad alcuni stralci di presentazioni alle opere di Ruggero Gervasoni, due pezzi nella loro integrità, l'uno di Stefano d'Andrea e l'altro di Sandro Bajini (rispettivamente per le mostre Il filo d'Arianna, Accademia Balbo, aprile-maggio 2004, e Il cerchio e la sua filosofia, Palafiori di Sanremo, 8-30 settembre 2007).

Antologia critica

Partito da esperienze necessariamente figurative ed evolutosi nell'astrattismo segnico, Gervasoni sospinge la propria ricerca alle estreme possibilità timbriche ed espressive.

[...]

Il discorso, impegnato anche sul piano dei contenuti musicali, sta a significare che l'artista opera in una dimensione spirituale di alta levatura. E la missione del vero artista consiste nel ritrovare nella sua opera artistica la espressione ed i simboli, ovvero gli archetipi, che sottintendano il recupero della ragione spirituale.

Nell'opera di Gervasoni non va ricercato il valore analitico del colore e dei piani; vi troveremo evidente il valore dei ritmi: essi sono le componenti di una tensione emotiva.

Luciano G. Lupi, dalla presentazione per la mostra al Grand Hotel del Mare, marzo-aprile 1975

Rientra tra coloro che guardano alla tradizione l'italiano Ruggero Gervasoni, la cui pittura costruita su un sistema di segno-colore richiama latamente l'arte optical.

Leo Lecci e Paola Valenti, da Breve guida, in forma di dizionario, per visitare la mostra (e avvicinarsi all'arte contemporanea), testo per il catalogo di "Agorà grandi formati", 11° edizione, 2004

Il cerchio non è solo una figura geometrica applicabile artisticamente, bensì un simbolo, anzi il simbolo primario e centrale per eccellenza.

Se guardiamo attentamente all'iconografia scelta da Gervasoni vediamo che l'interno dei suoi cerchi è attraversato, colmato, reso vibrante e magnetico da fasci d'onde: onde che suggeriscono tre diverse letture.

Naturalmente come onde marine simboliche dell'acque primigenie; in secondo luogo come onde elettromagnetiche, la principale manifestazione d'energia; e infine come onde astrali, raggi di creazione che dall'Assoluto promanano incessantemente.

Viene spontaneo riferirsi sia alle teorie di Einstein sulla relatività sia al simbolo del Ragno che tesse incessantemente la ragnatela delle apparenze illusorie (Maya) della tradizione induista. Cerchi concentrici che si specchiano l'un l'altro come una infinita fuga di mondi...

Talvolta i suoi cerchi appaiono anche come immaginari oblò, sbocchi di un lungo tunnel oscuro verso la linea chiara dell'orizzonte marino, vista come luminosa utopia d'una vita più felice, o come devozione-desiderio-speranza di un aldilà metafisico.

Grandi tele recenti, dai colori aciduli, sono attraversate da una gestualità ossessiva, ove onde agitate da violente pulsioni dinamiche appaiono segnate da lampi di luce. Il continuo dipanarsi di linee - il filo d'Arianna - in un percorso senza inizio e senza fine.

Si può perfino accennare al fatto che Gervasoni sia pervenuto intuitivamente alla cognizione illuminante che il proprio "interiore" sia dominato dalle acque alchemiche (emotività) e che senta il timore d'esserne invaso e perciò avverta il bisogno di prosciugarle (seccare ciò che è umido) o almeno di mantenerle sotto controllo. Gervasoni dunque ci ricorda i nessi sottili ed inestricabili che legano macrocosmo e microcosmo in una sintesi di struttura e di colore.

E' stato detto: "Il disco nasce dalla identificazione del simbolo del Sole (il cerchio) con quello del cosmo, rappresenta quindi la totalità delle forze astrali. E' in altri termini il simbolo supremo". E' inconsapevolmente che Gervasoni compie questa operazione mandalica?

Anche se così fosse, i simboli archetipi hanno infinite strade, soprattutto inconsce, per ritornare alla luce, e un artista ispirato non ha bisogno di giustificazioni.

Stefano D'Andrea, settembre 1983, testo poi pubblicato, in una successiva versione, per la mostra "Il filo d'Arianna", Accademia Balbo, aprile-maggio 2004

IL MONDO ASTRALE DI RUGGERO GERVASONI

Ruggero Gervasoni opera da sempre in un suo mondo sotterraneo che soltanto a visitatori distratti può apparire come la bottega di un corniciaio. Entrare nel suo antro dalla via Agosti, così innocente nel suo inconsapevole viavai, significa invece scendere in un ipogeo magico dove il reale perde le sue dimensioni misurabili.

Ho detto scendere poiché vi si accede attraverso una scala angusta, ma dovrei dire penetrare poiché non esiste al mondo luogo che respinga il "vacuo" come quello: non trovi un centimetro quadrato libero, nemmeno nel soffitto. Ci si sente avvolti dalla "materia": in forma di legname e di cornici, naturalmente, e di frammenti di cornici, piccoli e grandi, ad angolo o a tre lati soltanto; ma anche di quadri di ogni tipo, di cavalletti integri e sfasciati, di cose informi e indecifrabili, di oggetti metallici e di plastica, di utensili vari, e persino di una bicicletta attorcigliata appesa al muro, di una macchina inquietante con tubi e orologio chiamata "compressore", un bailamme che si snoda in un mitico labirinto, poiché i vani, anzi i pieni, sono diversi e ce n'è uno strettissimo che sembra condurre chissà dove e invece è a fondo cieco.

Ci si accorge subito di non essere giunti agli inferi, a cui la scaletta aveva fatto pensare, poiché l'aldilà è notoriamente disadorno; più accettabile l'antro nibelungico in cui Mime forgia la spada di Sigfrido, ma soprattutto si ha la sensazione di essere al centro della terra, dove la materia si è frantumata in una serie di oggetti approssimativi e gli oggetti diventano emblemi, così che l'antro di Ruggero (che adesso non è più il suo nome ma quello dell'eroe dei poemi cavallereschi) è di per sé un'opera d'arte materica e di richiamo surrealista.

Qui Gervasoni crea i suoi quadri (perché non venitemi a dire che li fa a casa sua o in uno studio soleggiato) e capisci subito che lui si sente, più che un pittore, un corpo celeste che ruota attorno a qualcosa e che il suo antro è un punto di osservazione astrale. I suoi quadri sono il risultato delle sue osservazioni, che egli materializza per non dimenticarle.

Non è un astronomo dei nostri tempi che un po' vezzosamente prenda appunti figurativi dopo avere osservato il firmamento col telescopio ma un uomo del Rinascimento che vede l'universo ingenuamente ma nella stessa prospettiva della scuola platonica fiorentina o più tardi di Giordano Bruno. Vede con gli occhi della mente, cioè immagina.

Nelle sue visioni domina il cerchio, che esprime l'infinito, quel particolare infinito che torna su se stesso. Ma il cerchio esprime anche la rivoluzione dei pianeti, indipendentemente dalla loro orbita. Lo attraversano linee sinusoidi, quelle vibrazioni dell'etere che fanno fremere l'universo, che è geometrico ma animato da forze, e talvolta le linee diventano rette, perché certe onde, come si sa, non deflettono ma tirano diritto.

Ci sono cerchi più grandi e cerchi più piccoli, perché infinite sono le variazioni; e talvolta la circonferenza interrompe la sua continuità e si introflette in un arco di cerchio a convessità opposta, o si deforma in vario modo, a indicarci che non tutto è perfetto nell'universo (o comunque che tale è il sospetto) e che non viviamo nel migliore dei mondi possibili.

Ci sono anche globi che salgono e scendono, una via all'insù e una via all'ingiù, come voleva Eraclito; e una serie di neumi che sarebbero l'alfabeto dell'universo; e poi forze centrifughe che ci ricordano l'esistenza di altre galassie.

Quella però che importa è la nostra ed è qui che Ruggero ritorna a suo modo alla Terra e a noi. Ci ritorna col colore, che non esisterebbe senza il sole, ed è il colore che rende quasi naturalistiche le sue immagini: erano forme e sono diventate in potenza stati d'animo. C'è la viva gioia dei rossi e c'è persino l'oro che ricorda il grano e i bizantini, e ci sono gli azzurri della notte.

La pittura di Gervasoni sta a sé, non assomiglia a nessun'altra, benché una critica storica agguerrita non avrebbe certo delle difficoltà a trovare delle ascendenze sul piano delle forme. Il cerchio e tutto il resto non lo ha certo inventato lui, ma tutta sua è la maniera candida, fanciullesca, indifesa con la quale ce lo propone come simbolo e come sogno.

Sandro Bajini, testo per la mostra Il cerchio e la sua filosofia - Palafiori di Sanremo, 8-30 settembre 2007